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Dieci anni di Premio Trivelli, i piatti premiati dei ristoratori che hanno accompagnato alla tutela comunitaria IGP la Pitina - Ricettario 3

DISPONIBILE

     Le Valli  Pordenonesi (Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera) sono un territorio di grande interesse geologico, ambientale e naturalistico. Ricadono in buona parte all’interno del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, a sua volta ricompreso nel territorio delle Dolomiti, riconosciute dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. 
Queste vallate custodiscono orgogliosamente un piccolo tesoro della gastronomia dei tempi andati: la Pitina, un prodotto carneo, che con regolamento comunitario del 19 giugno 2018 ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta (IGP). Già dal 2000, la Pitina era stata riconosciuta, tra i primissimi prodotti in Italia, quale Presidio Slow Food. 
È fatta di carne magra di selvaggina (un tempo; oggi, più spesso di capra o pecora) tritata e impastata con una concia di sale, pepe, finocchio selvatico o altre erbe, pressata a forma, appunto, di polpetta, passata nella farina di mais (quella da polenta) e quindi fatta affumicare, un tempo nel camino di casa (il fogher o fogolar), oggi in appositi affumicatoi dove rimangono per tre o quattro giorni.
Le “pitine” costituivano un tempo la “riserva” di carne, un modo per far durare anche per mesi la fortuna di un colpo di fucile ben assestato (spesso la materia prima proveniva dalla caccia di frodo) o la disgrazia di una bestia - capra o pecora - che bisognava macellare dopo che si era ferita cadendo da un dirupo.
Oggi la Pitina è una squisitezza ricercata dai buongustai: consumata cruda, affettata sottile o cotta nel tradizionale piatto, che la vede accompagnata dall’immancabile polenta.




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