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Grotte di Pradis e Museo della Grotta

L'affascinante mondo della grotta e la sua frequentazione nel Paleolitico da parte dell’uomo e degli animali.



INDIRIZZO: Pradis - 33090 Clauzetto PN
TELEFONO: 0427 80323 - Comune di Clauzetto
E-MAIL: 
cultura@comune.clauzetto.pn.it - associazione.pradis@gmail.com
WEB: grottedipradis.it


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>> INFO E ORARI DI APERTURA GROTTE DI PRADIS PER L'ANNO 2023
>> INFO ORARI DI APERTURA MUSEO DELLA GROTTA PER L'ANNO 2023






>> MUSEO DELLA GROTTA

Aperto al pubblico nel 2001, il Museo nasce come raccolta permanente nel 1969 ad opera del Comitato Culturale Pradis e del Gruppo Speleologico Pradis, allestita presso i locali dell'ex scuola elementare della frazione e chiusa in seguito al sisma del '76.

La sede attuale si trova nelle immediate vicinanze delle Grotte Verdi, sito frequentato nel corso del Paleolitico medio e superiore e scavato negli anni '70 da Giorgio Bartolomei dell'Università di Ferrara.

L'allestimento presenta il mondo della grotta dal punto di vista della sua frequentazione da parte degli animali e dell'uomo, attraverso un' esposizione di resti palentologici e di reperti archeologici, frutto di rinvenimenti casuali e di recenti indagini scientifiche. La raccolta si completa con una sezione di fossili e di minerali di provenienza anche locale.

>> L'orso delle caverne

Il percorso inizia con la realizzazione in pelo e la ricostruzione dello scheletro dell'orso delle caverne, i cui resti sono stati rinvenuti nelle cavità dell'altopiano di Pradis. Questo mammifero è comparso circa 700.000 anni fa, ma ha avuto il momento di massima diffusione durante l'ultima glaciazione (Würm, 100.000-11.000 anni fa), per estinguersi attorno ai 17.000 anni dal presente. A differenza di altri orsi, quello speleo era diventato progressivamente vegetariano e per questo trascorreva abitualmente l'inverno in letargo, in un luogo riparato. I motivi della sua estinzione molto probabilmente sono legati ai cambiamenti climatici ed ambientali verificatisi al termine dell'ultima glaciazione.

>> La collezione di fossili e minerali

Il percorso espositivo termina con una sezione di fossili e di minerali, in parte acquistati negli anni '60 dal parroco Don Terziano Cattaruzza e in parte messi a disposizione dall'appassionato Viotto tramite la Comunità Montana Val d'Arzino Val Cosa Val Tramontina.

Dopo una breve presentazione sulle rocce sedimentarie e sull'ambiente marino del Cretacico (da 144 milioni a 65 milioni di anni fa) e del Miocene (da 23 milioni a 5 milioni di anni fa) che ne vide la formazione, si esaminano nel dettaglio alcuni fossili significativi provenienti dall'altopiano di Pradis e dalle colline di Castelnovo del Friuli. Vista la natura carbonatica dell'area, tra i minerali esposti vengono presentati diversi esemplari di calcite.
 

>> LE GROTTE DI PRADIS

Le Grotte di Pradis sono un complesso di cavità carsiche di varia estensione e profondità, posizionate a più livelli lungo una profonda forra scavata nel corso dei millenni dal Torrente Cosa nella tenera roccia calcarea del Cretacico superiore. Da quei lontani tempi questi luoghi sono in continua evoluzione e trasformazione per effetto del “carsismo”, dovuto principalmente alla dissoluzione delle rocce calcaree ad opera dell’acqua piovana ma anche a fenomeni di erosione. L’Orrido delle Grotte di Pradis è un libro aperto sulla geologia e sul carsismo e consente di apprezzare la potenza erosiva delle acque meteore e delle acque correnti. La discesa all'Orrido, con le sue cascate, archi naturali, grotte e cavità, è un ambiente carsico unico per la sua bellezza. Qui la forza della natura e dell'acqua si mostrano con tutta la loro potenza e maestosità, un atlante di geologia all'aria aperta che ha affascinato generazioni di visitatori, dalla Preistoria fino ai giorni nostri. Oltre alle bellezze naturalistiche, le Grotte di Pradis sono infatti conosciute come importante sito archeologico: le due grandi cavità carsiche che accolgono il visitatore all'ingresso dell'Orrido, scavate negli anni '70 dall'Università di Ferrara, sono state sede di ben due fasi di frequentazione preistorica. La fase più recente, risalente al Paleolitico Superiore, attesta un'occupazione di gruppi di cacciatori-raccoglitori epigravettiani di 14.000 anni fa. In questi strati sono stati rinvenuti numerosi reperti sia litici che faunistici, tra i quali spiccano le centinaia di resti di marmotta che, come per la vicina Grotta del Clusantin, mostrano evidenti segni di spellamento e trattamento delle carni da parte dell'uomo preistorico. La fase più antica di frequentazione delle Grotte di Pradis risale al Paleolitico Medio ed ha restituito utensili in selce tipici invece del Neandertal. La bellezza di questi luoghi fu colta già nel 1921 da Don Giacomo Bianchini, parroco di Pradis, ma la loro valorizzazione deve aspettare don Terziano Cattaruzza, il quale giunse nel 1965 ad inaugurare la Grotta della Madonna, la quale ospita la “Madonnina delle Grotte” e, nel 1969, a completare il percorso di discesa al fondo della forra. Recente è invece la realizzazione di un percorso ad anellosovrastante l’Orrido che, attraversando il Cosa a monte di un antico ponte di pietra e a valle su una nuova passerella, offre al visitatore una prospettiva del tutto originale sull'imponenza della forra e delle formazioni geologiche sottostanti.

>> GROTTA DEL CLUSANTIN

UN ACCAMPAMENTO DI CACCIATORI DI MARMOTTE DI 14.000 ANNI FA Oggetto di una vasta indagine archeologica condotta da Marco Peresani dell'Università di Ferrara nel 2005, questa piccola cavità fungeva da riparo per cacciatori di marmotte e ungulati, che vi accendevano fuochi, scheggiavano selci, fabbricavano frecce e macellavano le prede. Dai primi risultati degli studi si intuisce come il Clusantin costituisse un luogo noto per i gruppi paleolitici che frequentavano queste montagne, da poco liberate dalla morsa dei ghiacci e divenute ospitali grazie ai miglioramenti climatici del tardoglaciale. A quel tempo, l'altopiano di Pradis era coperto di boschi di conifere con spazi aperti lungo i versanti frequentati da animali da pelliccia e da stambecchi e camosci, un ricco insieme di risorse a disposizione dei paleolitici nella montagna friulana. Le selci impiegate nella scheggiatura, la forma degli utensili rinvenuti e le armi che venivano approdate nel bivacco, suggeriscono la provenienza di questi cacciatori dalle Prealpi Venete.

LA LAVORAZIONE DELLA SELCE Tra le rocce più utilizzate nella preistoria, la selce era la migliore per produrre strumenti mediante scheggiatura. A Grotta del Clusantin la varietà di selci testimonia una diversità di luoghi di approvvigionamento che permettono di ipotizzare l'esistenza di lunghi percorsi effettuati dai cacciatori per reperire queste rocce, sfruttate per produrre schegge e soprattutto schegge allungate e sottili (lamelle).

Si tratta soprattutto di attrezzi o strumenti da lavoro, dotati di bordi regolari e taglienti per macellare le prede animali. Altri strumenti, ottenuti mediante il ritocco, sono le lame ritoccate, i perforatori, i bulini e soprattutto i grattatoi, muniti di una fronte convessa che veniva utilizzata per lavorare le pelli. I perforatori venivano invece impiegati nella perforazione di tessuti o di materie dure animali (ossa per aghi, conchiglie), mentre i bulini, muniti di robusti spigoli, erano impiegati per l'incisione della pietra e dell'osso e per lavori di finitura di strumenti in legno o in materie dure animali.

LA CACCIA E LE ARMI DA GETTO Nella fase recente del Paleolitico superiore la caccia prevedeva anche l'uso dell'arco e delle frecce armate con piccoli oggetti di selce (armature) fissati con resina. Le armature del Clusantin ammontano ad oltre 300 esemplari e comprendono principalmente punte a dorso e lamelle a dorso. Entrambi questi tipi di oggetti venivano ottenuti mediante il ritocco di lamelle che conferiva loro robustezza e maggiore efficacia di taglio e penetrazione. L'elevata frammentarietà di questi reperti è legata non solo alle imperfezioni occorse durante la loro realizzazione, ma anche al loro impiego.

Tra gli animali cacciati, un posto di primo piano occupa la marmotta. I resti appartengono ad individui di varia età, prevalentemente adulti, e si distribuiscono nell'area centrale dell'abitato. Alcuni di essi sono marcati da strie di scarnificazione prodotte con una scheggia di selce e, in molti casi, sono associati a combustione e calcinazione. Si tratta di una chiara testimonianza della caccia e del trattamento delle carcasse rivolto all'acquisizione di alimenti, pelliccia e grasso che, sulla base di confronti etologici, doveva aver luogo nei mesi estivi tra luglio e agosto.

>> GROTTA DEL RIO SECCO

Esplorata nel 2001 con un sondaggio archeologico, si presenta come uno dei siti più interessati per lo studio del mondo di vita degli ultimi neandertaliani nel Friuli occidentale. Il deposito di riempimento di questa vasta cavità ha restituito resti faunistici riconducibili principalmente all'orso delle caverne e alla marmotta ma anche a ungulati predati e macellati dai neandertaliani. Da uno strato provengono varie schegge e un nucleo in selce lavorato secondo un metodo (Levallois) normalmente in uso nel Paleolitico medio per ricavare strumenti da taglio. Una datazione 14C rimanda a 42.000 anni fa l'età di queste testimonianze che si inseriscono in una fase cruciale per l'evoluzione umana, dove si assiste all'estinzione di Homo neanderthalensis e alla comparsa di Homo sapiens.

Caverna Mainarda

Da questa cavità proviene un'armilla in bronzo, con terminazione a testa di serpente e decorazione incisa a motivi geometrici, di epoca tardoromana (IV-V secolo). È l'unico ritrovamento tra i reperti delle grotte del comune di Clauzetto che riguardi un elemento del costume femminile e non semplici oggetti d'uso comune.

Il suo ritrovamento nell'ambito della grotta appare senza dubbio interessante, sia perché conferma una frequentazione rilevante e diffusa durante la tarda antichità nelle cavità naturali di Clauzetto, sia perché potrebbe offrire ulteriori indizi sul loro uso.

Oltre alla possibilità che si tratti di un oggetto appartenuto ad un individuo che utilizzò la grotta come riparo, non si può infatti escludere la sua appartenenza ad un corredo funerario. La fruizione delle grotte per il culto e per la sepoltura dei morti non è infatti una situazione rara. Non vi sono però ulteriori dati per confermare tali ipotesi nel caso della Caverna Mainarda.
 

>> GROTTE VERDI

LA FAUNA A partire dalle prime fasi di esplorazione delle Grotte Verdi sono stati messi in luce numerosi resti faunistici accumulatisi nel tempo all'interno dei depositi. Già gli studi condotti dal Bartolomei avevano evidenziato la presenza di orso speleo, stambecco e marmotta, ma soprattutto di micro-mammiferi, importanti indicatori ambientali.

Le specie attestate utilizzavano le cavità come riparo o tana (orso bruno, orso speleo e marmotta); i resti faunistici potevano anche essere il risultato dell'attività di predazione da parte di animali carnivori e forse anche di caccia da parte di uomini preistorici (cervo, marmotta, volpe comune, tasso e gatto selvatico).

LA FREQUENTAZIONE UMANA L'utilizzo da parte dell'uomo risale al Paleolitico medio (300.000-40.000 anni fa) e perdura fino ad età storica, come ben indicano i diversi reperti venuti in luce in occasione dei lavori di sistemazione delle grotte negli anni '60.

Manufatti litici come nuclei, bulini, grattatoi, strumenti a dorso e lamelle ritoccate vengono datati tra i 12.000 e gli 11.000 a.C., mentre frammenti di ceramica (orli e fondi, pareti di recipienti con decorazione impressa, prese) si riferiscono al Bronzo recente (1350-1200 a.C.) e forse anche al Bronzo finale (1200-1000 a.C.) e all'età del Ferro. All'età romana e medievale vengono attribuiti alcuni recipienti in ceramica grezza, utilizzati nella vita quotidiana per la conservazione e la preparazione dei cibi.

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>> VISITE GUIDATE E INGRESSI PER GRUPPI NUMEROSI 

Prenotazione almeno 7 giorni prima.
Ecomuseo Lis Aganis

tel. 0427 764425
 


 


 
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